ROSADEIVENTI non è solo un progetto: è un modo di viaggiare, di stare al mondo. Per questo abbiamo un paio di regole solo nostre, o quasi, che cerchiamo di seguire a qualunque latitudine.

1. Situazionismo, innanzitutto.

Parola che ha a che fare con la psicogeografia, il détournement, l’Internazionale Socialista e simili blabblà, ma che per noi descrive semplicemente il gusto per la deriva. Quando arriviamo in un posto seguiamo l’istinto, i sensi soprattutto, e la decisione di svoltare a destra o entrare in un cortile dipende dal vociare che sentiamo dalle finestre, o da certi odori delle cucine, molto più che dai consigli dell’infopoint. Ci interessano i bar più che le chiese, e le chiese solo se il prete è un tipo creativo.

2. Ogni mappa è sogno e resoconto.

Anticamente, la mappa era un panno di lino simile alla nostra tovaglia, che ciascun commensale portava con sé per raccogliere gli avanzi del pranzo. Ma era anche il drappo rosso usato negli anfiteatri per eccitare gli animali, come nella odierna corrida. Le mappe degli esploratori erano, insieme, provocazione e storia, cronaca e destino (almeno, questo sono state prima che lo spazio diventasse “geometrizzato” e più o meno oggettivo, ma questa è un’altra storia). Noi vogliamo tornare là. La nostra mappa, disegnata da Ambra Gurrieri, racconta le cose che speriamo di trovare e quelle che abbiamo incontrato. Adesso è poco più che “muta”, ma presto imparerà a parlare.

3. I venti, tutti i venti, hanno le loro ragioni.

Ci sono quelli cui il vento scompiglia la piega, ruba i panni, anticipa la pagina sportiva, e poi ci siamo noi: gli anemòfili, quelli che si lasciano spettinare, rapire, disorientare dai venti destri e sinistri, dominanti e irrilevanti, catabaici, bavosi… Che si tratti del terribile Mistral o del gentile Zèfiro, una cosa è certa: un anemòfilo fiuta i venti e li rispetta.

4. Mediterraneo non è Medioevo.

Immagina: il pescatore di Marsiglia, convinto che la moglie gli abbia fatto un nodo d’amore; il mafioso di Palermo, che si nasconde in un’antica stanza del vento per fuggire alle retate della polizia; la coppia di sposi che vuole costruirsi una casa diversa da tutte le altre, e invece deve vagare per tutto il Marocco, respinta dai sindaci di ogni città; la scimmia triste di Gibilterra, emarginata dal gruppo ma fotografata da tutti i turisti, proprio per la plasticità della sua tristezza; e così avanti, con limousine, pugili matti, cavalli nei cassonetti… Tutto, davvero tutto, pur di smettere di parlare del Mediterraneo nel solito modo: il sole, il mare, il vento (ops).

5. Si immagina meglio senza immagini.

Se ti faccio vedere un albero, tu vedi un albero. Se ti faccio ascoltare un albero, tu puoi decidere: è il larice davanti al tuo ufficio? la quercia su cui ti arrampicavi quando eri bambino? o è quello che fiancheggerà l’auto del tuo funerale? La verità è che, certe volte, senza immagini si immagina meglio.

6. Tracotanza è bene.

Qualcosa in meno della superbia, qualcosa in più del coraggio. Letteralmente: “pensare oltre”. Tracotanza spinge gli eroi alla deriva quindi, per proprietà transitiva, scrive le opere sugli eroi alla deriva (in altre parole: senza Ulisse non c’è Omero). Qualche esempio: decidere di vedere 7 città in 32 giorni è tracotanza; farlo con 1000 euro in tasca è tracotanza; pensare una performance in un sito archeologico di un paese in cui non si parla la tua lingua e nessuno sa chi sei, è tracotanza; provare a scrivere una nuova narrazione del Mediterraneo è assoluta tracotanza, tracotanza pura.

Noi ci crediamo. E tu?